Qui sotto invece un articolo a proposito del concerto, scritto per il numero di gennaio di Post.it.
Buon ascolto e buona lettura
Jon Spencer non è certo quel tipo di individuo che ha bisogno di presentazioni. Si è bevuto in più sorsate una spregiudicata, appassionata, contraddittoria militanza nel rock'n'roll a base di litrate di concerti e di nessun compromesso.
Dagli immensi Pussy Galore alla premiata Blues Exposion, passando per innumerevoli altri capitoli, ha distrutto e ridisegnato, portato un'idea nuova di ciò che poteva essere la musica di fine millennio e oltre.
Ma non è tipo da guardarsi indietro
Nel 2005 incontra il vecchio amico Matt Verta-Ray, un altro che non la manda a dire (Madder Rose, Speedball Baby), con cui condivide l'amore per rockabilly, blues, country e murder ballads.
Dopo un tour con le rispettive bands in cui i due si divertono a jammare nei backstage, parte l'idea di un duo con la voglia di divertirsi a spasso per le sterminate terre di confine del suono americano.
Nello studio casalingo di Matt cominciano a scrivere musica insieme e a registrarla. Di lì a poco nascono gli Heavy Trash e viene pubblicato il primo disco, intitolato semplicemente con il nome del duo. Data l'ottima risposta del pubblico, seguirà due anni più tardi l'album "Going Way Out with the Heavy Trash" e il tour mondiale con i The Sadies come backing band.
Nel 2009 la Fat Possum pubblica "Midnight Soul Serenade", una dozzina scarsa di nuove canzoni per quello che è il terzo album in studio degli Heavy Trash.
Il disco dimostra una sempre maggior intesa tra i due: possiede episodi distinti, ma che, muovendosi nel vasto calderone del roots rock'n'roll, riescono a integrarsi bene e a dare una ottima impressione di organicità.
Si parte e si arriva con i fifties più spensierati e sincopati con "Gee, I really love you" e "In my heart", passando per il rithm'n'blues drogato di "Come on" e l'incedere surf di "Pimento". La cover di "Bumble Bee" (LaVern Baker, 1960) diviene una cavalcata polverosa sotto il sole di mezzogiorno, mentre "(Sometimes you got to be) gentle" e "Bedevilment" transitano dai Sessanta direttamente al giorno d'oggi.
Ci sono ballad inquietanti: "Sweet Little bird", l'oscura "Isolation" con i suoi ammiccamenti d'organo sullo sfondo, ma soprattutto la metanfetaminica strada di fantasmi "The Pill", forse il momento migliore del disco.
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