venerdì 28 maggio 2010

Eighties Colours: il rock italiano degli anni '80



Esisteva un mondo tanti anni fa. Così comincia una vecchia canzone tratta dal primo album degli Avvoltoi, datata 1988. Di anni ne sono passati tanti e finalmente arriva un libro a fare un po' di luce su quello che fu l'underground italiano degli anni '80. Non è il primo e speriamo non sia l'ultimo, ma "Eighties Colours. Garage, beat e psichedelia nell'Italia degli anni Ottanta" (Coniglio Editore) si colloca già come un capitolo irrinunciabile per chi c'era e per chi invece non ha vissuto in prima persona quegli anni. L'autore è Roberto Calabrò, giornalista per "Repubblica", "L'Espresso", il "Venerdì", ma soprattutto grande esperto di musica e dei suoni del periodo in questione. Un periodo molto più sfaccettato rispetto a quanto si vuol fare credere. Dal punto di vista musicale ci fu chi, e non furono pochi, si rituffò nella musica degli anni '60, ricercandone lo spirito, la freschezza e l'ingenuità. Ma non solo. Ne recuperò suoni e strumenti - all'epoca il vintage non esisteva e una chitarra Fender di vent'anni prima aveva ancora un prezzo più che accessibile - e cominciò a suonare. Non c'era internet né i viaggi low cost, ma quei ragazzi – Not Moving, Sick Rose, Birdmen of Alkatraz, Pikes in Panic, No Strange per citarne alcuni - riuscirono a formare bands, ad andare a Londra in treno, tornando con pile di vinili o strumenti, a registrare dischi e organizzare concerti, a mettere in piedi una fanzine e a far circolare informazioni. La chiamarono neopsichedelia. Fu sicuramente una ventata di aria fresca, qualcosa di nuovo per uscire dall'asfittico grigiore del decennio. Ma fu soprattutto una fucina di grandi gruppi e di dischi imprescindibili. Proprio a loro è dedicato "Eighties Colours": un prezioso volume corredato di un sontuoso apparato fotografico, di interviste ai protagonisti, della discografia completa del periodo 1985 - 1990, frutto di un accurato lavoro di ricerca durato due anni 

L'autore è in impegnato al momento impegnato nel tour di presentazione del libro.
Qui sotto le date romane, maggiori informazioni: www.robertocalbro.blogspot.com

Martedì 1 giugno: Spazio daSud, via Gentile da Mogliano 170, al Pigneto. ore 20 
Venerdì 11 giugno: Hellnation Record Shop, in via Nomentana 113. ore 18

giovedì 13 maggio 2010

MARK LANEGAN: UNA VOCE DA BRIVIDI




Torna in Italia Mark Lanegan con la sua personalità carismatica e una carriera costellata di dischi, cadute e rinascite. Da Seattle protagonista di un percorso che lo ha portato dal grunge alle folk songs, passando per i Queens of the Stone Age. In concerto venerdì 14 al Circolo degli Artisti (da Post.it - Giugno 2010)

Un personaggio carismatico. Una voce profonda ed evocativa. Un animo travagliato intriso di blues e oscurità. Tutte affermazioni che riconducono a Mark Lanegan, forse uno degli ultimi folk singer rimasto a cantare il mondo senza dividere l'arte dalla vita. Ma che non bastano a descrivere la personalità sfuggente di un artista che in venticinque anni si è espresso attraverso un caleidoscopio di sonorità e stili. Unico parametro di riferimento: quella voce così bassa da scavarti dentro, quel mood lancinante di demoni e bassifondi, quella grana magnetica che dispensa brividi ad ogni ascolto.
Piace pensare a Lanegan come a uno di quei narratori di cui potresti non ricordare perfettamente i lineamenti del volto, ma di cui riconosci la voce appena comincia a raccontare.
E per quanto lo si possa ritrovare nelle più disparate collaborazioni, il cantante di Ellensburg non sopporta le luci della ribalta, preferendo rimanere nell'ombra.
La sua carriera comincia a metà degli anni '80 da frontman degli Screaming Trees, in una Seattle in cui sembra che qualcosa stia per esplodere. La band, inserita nel calderone grunge, non avrà la stessa fortuna di altre blasonate formazioni del periodo rimanendo un gruppo di culto.
Nel frattempo, siamo nel 1990, lavora al suo primo disco solista. Si tratta di "The Winding Sheet" (Sub Pop Records), con la collaborazione tra gli altri di Kurt Cobain e Chris Novoselic. L'album mostra una strada più intimista, intrisa di un folk blues oscuro e personale.
Sarà questa la cifra stilistica dominante di una produzione discografica rarefatta nel tempo, costellata di problemi di tossicodipendenza, lotta contro i propri fantasmi, perdita di amici, cadute e rinascite.
Come nel 1994 con "Whiskey for the Holy Ghost", una perla in una esistenza devastata, o qualche anno dopo con "Scraps at Midnight", registrato al Rancho de La Luna, nel deserto della California, dopo un periodo di disintossicazione. O subito dopo con l'album "I'll take care of you", tributo alle sue origini musicali e agli artisti che lo hanno ispirato, tra cui l'amico Jeffrey Lee Peirce (Gun Club) con una versione di Carry Home per chitarra, voce e brividi.
Gli anni Duemila vedono Lanegan impegnato su più fronti: su disco e in tour con i Queens of the Stone Age, con l'amico fraterno Greg Dulli con il progetto Gutter Twins e poi con l'ex  Belle & Sebastian Isobel Campbell e addirittura con il duo trip-hop Soulsavers.
C'è il tempo per alcuni capolavori: Field Songs (2001), album della maturità tra chiaroscuri folk e ruvidi episodi blues; "Bubblegum" tre anni dopo, con la produzione dell'amico Josh Homme e illustri collaborazioni, tra cui spicca il nome di Pj Harvey.
Domani Mark Lanegan sarà in concerto al Circolo degli Artisti con la sua voce e la sua straordinaria personalità, in tour per cantare storie torbide, murder ballads, canzoni in acustico e anticipazioni di quello che potrà essere il prossimo album solista di un artista così misterioso e influente.