giovedì 13 maggio 2010

MARK LANEGAN: UNA VOCE DA BRIVIDI




Torna in Italia Mark Lanegan con la sua personalità carismatica e una carriera costellata di dischi, cadute e rinascite. Da Seattle protagonista di un percorso che lo ha portato dal grunge alle folk songs, passando per i Queens of the Stone Age. In concerto venerdì 14 al Circolo degli Artisti (da Post.it - Giugno 2010)

Un personaggio carismatico. Una voce profonda ed evocativa. Un animo travagliato intriso di blues e oscurità. Tutte affermazioni che riconducono a Mark Lanegan, forse uno degli ultimi folk singer rimasto a cantare il mondo senza dividere l'arte dalla vita. Ma che non bastano a descrivere la personalità sfuggente di un artista che in venticinque anni si è espresso attraverso un caleidoscopio di sonorità e stili. Unico parametro di riferimento: quella voce così bassa da scavarti dentro, quel mood lancinante di demoni e bassifondi, quella grana magnetica che dispensa brividi ad ogni ascolto.
Piace pensare a Lanegan come a uno di quei narratori di cui potresti non ricordare perfettamente i lineamenti del volto, ma di cui riconosci la voce appena comincia a raccontare.
E per quanto lo si possa ritrovare nelle più disparate collaborazioni, il cantante di Ellensburg non sopporta le luci della ribalta, preferendo rimanere nell'ombra.
La sua carriera comincia a metà degli anni '80 da frontman degli Screaming Trees, in una Seattle in cui sembra che qualcosa stia per esplodere. La band, inserita nel calderone grunge, non avrà la stessa fortuna di altre blasonate formazioni del periodo rimanendo un gruppo di culto.
Nel frattempo, siamo nel 1990, lavora al suo primo disco solista. Si tratta di "The Winding Sheet" (Sub Pop Records), con la collaborazione tra gli altri di Kurt Cobain e Chris Novoselic. L'album mostra una strada più intimista, intrisa di un folk blues oscuro e personale.
Sarà questa la cifra stilistica dominante di una produzione discografica rarefatta nel tempo, costellata di problemi di tossicodipendenza, lotta contro i propri fantasmi, perdita di amici, cadute e rinascite.
Come nel 1994 con "Whiskey for the Holy Ghost", una perla in una esistenza devastata, o qualche anno dopo con "Scraps at Midnight", registrato al Rancho de La Luna, nel deserto della California, dopo un periodo di disintossicazione. O subito dopo con l'album "I'll take care of you", tributo alle sue origini musicali e agli artisti che lo hanno ispirato, tra cui l'amico Jeffrey Lee Peirce (Gun Club) con una versione di Carry Home per chitarra, voce e brividi.
Gli anni Duemila vedono Lanegan impegnato su più fronti: su disco e in tour con i Queens of the Stone Age, con l'amico fraterno Greg Dulli con il progetto Gutter Twins e poi con l'ex  Belle & Sebastian Isobel Campbell e addirittura con il duo trip-hop Soulsavers.
C'è il tempo per alcuni capolavori: Field Songs (2001), album della maturità tra chiaroscuri folk e ruvidi episodi blues; "Bubblegum" tre anni dopo, con la produzione dell'amico Josh Homme e illustri collaborazioni, tra cui spicca il nome di Pj Harvey.
Domani Mark Lanegan sarà in concerto al Circolo degli Artisti con la sua voce e la sua straordinaria personalità, in tour per cantare storie torbide, murder ballads, canzoni in acustico e anticipazioni di quello che potrà essere il prossimo album solista di un artista così misterioso e influente.

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